Forse felice, senz'altro libera
Una scrittrice che scriveva per soldi: vita e mito di Louisa May Alcott
Ho iniziato e abbandonato questa puntata molte volte. Parlare di Louisa May Alcott sembra così intimo: anche se non scrivo mai “io”, mi sembra di parlare sempre di me. Ci sono libri e autori che diventano parte di noi; Alcott è tra questi.
In questo post ti avevo raccontato un po’ di me e di Jo March e di cosa avevo provato a rileggere Piccole donne da adulta. Oggi invece voglio parlarti di Louisa May Alcott, la donna che ha reso possibile tutto questo.
Cinque cose su Louisa May
Una zia zitella un po’ bacchettona, ma simpatica: probabilmente è questa l’idea che ci siamo fatti di Alcott leggendo Piccole donne e Piccole donne crescono. Così l’ho immaginata anche io per tanto tempo, e per tanto tempo questa idea mi è sembrata sufficiente.
Da bambina non consideravo scrittori e scrittrici come vere e proprie persone: mi interessava solo sapere se avessero scritto altri libri oppure no. Solo più tardi ho iniziato a interessarmi al loro lato umano. Penso che scrittori e romanzi siano due entità ben separate1, ma mi piace leggere le biografie per cercare di capire in che modo il loro talento si è intrecciato ai grandi eventi storici e ai piccoli fatti quotidiani.
Ho scoperto la storia di Louisa May Alcott grazie a un bellissimo libriccino (sono poco più di 100 pagine) scritto da Beatrice Masini. I dati biografici in sé sono illuminanti: ho scoperto che Alcott è stata una donna complessa, che si è battuta per i diritti delle donne e poi è diventata una delle tante scrittrici passate alla storia in una versione appiattita e un po’ svilente di se stessa—penso per esempio a Emily Dickinson, la donna passionale e sicura di sé trasformata in una vergine ingenua che non usciva mai di casa; a Sylvia Plath, la donna brillante e arrogante inghiottita dal suo suicidio; e così via. Quello che più mi ha colpito, però, è stato scoprire il rapporto di Alcott con Piccole donne.
Trovo affascinante il modo in cui la letteratura sa viaggiare nel tempo e nello spazio e riesce ad avvicinare sconosciuti lontanissimi tra loro: pensarlo mi commuove e mi dà speranza—forse noi esseri umani non siamo così male, se riusciamo a creare questa magia e ci ostiniamo a creare connessioni appena ne abbiamo l’occasione. Ma la pensava così anche chi ha scritto il libro? Nel caso di Louisa May Alcott, la risposta è: non proprio.
1: “Quanto veniamo definiti dagli altri, dai nostri altri. [...] Per consonanza o per differenza, noi siamo i nostri altri quanto siamo noi stessi”
Un padre ingombrante, filosofo dai mille progetti e zero senso pratico, e una madre-martire; quattro sorelle; un’infanzia trascorsa a Concord in una comune che è anche un collegio. Forse questi elementi ti suonano familiari: dopotutto per scrivere i quattro volumi delle Piccole donne Louisa May Alcott ha pescato a piene mani dalla sua vita.
Louisa May cresce tra ristrettezze economiche e ideali progressisti. Deve presto rinunciare alla sua prima passione, la recitazione, così come sarà costretta a fare Meg March. In compenso scrive moltissimo e giura a se stessa di fare il possibile per aiutare la sua famiglia. Il suo obiettivo è diventare “ricca e felice e famosa”2, ma nel frattempo lavora come infermiera e poi come dama di compagnia. Scrive nei ritagli di tempo: i nipoti, i genitori e le faccende domestiche hanno la precedenza. Si allontana spesso da Concord, ma mai troppo a lungo, perché i legami con la sua famiglia sono lacci troppo stretti e tutti sembrano sempre aver bisogno di lei.
2: “Sono sempre stata ispirata soltanto dalla necessità di guadagnare”
Piccole donne non è privo di difetti: la narrazione tende ad essere un po’ moraleggiante, alcune scelte narrative sembrano un po’ ingenue. Penso che la sua forza stia invece nei personaggi e nei loro legami. Le sorelle March sono così umane e così imperfette, ma nessuno le ama meno per questo: nel mondo di Piccole donne c’è sempre una mano da stringere quando si ha paura, e si sbaglia con la consapevolezza che l’importante è imparare. Viene naturale pensare, quindi, che questo libro sia stato scritto con lo stesso amore che circonda le protagoniste. E invece: Louisa May scrive perché in famiglia c’è bisogno di soldi, visto che l’idealismo del padre richiede denaro. E se i soldi sono la radice del male, dice il professor Bhaer in Piccoli uomini, è anche vero che sono come le patate: la famiglia ne ha bisogno e Louisa May se ne fa carico. Tutto il lavoro di cura e di supporto ricade sulle sue spalle di zia nubile e affidabile. Scrivere è una passione, ma soprattutto le permette di guadagnare, e così nasce Piccole donne. Questa “pappa morale3” scritta su commissione garantisce vestiti e legna per l’inverno, e permette a May, la sorella minore, di studiare arte.
3: “Il mio tempo deve ancora venire, da qualche altra parte, quando sarò pronta”
Con la pubblicazione di Piccole donne Louisa May guadagna la fama e un nutrito gruppo di ammiratori. C’è una scena, in I ragazzi di Jo, in cui Jo cerca di scappare da una finestra pur di sfuggire a un gruppo di ficcanaso accorsi a Plumfield nella speranza di incontrarla. Probabilmente lo ha fatto anche Louisa May, che ama il denaro ma non la celebrità, e scrive nel suo diario: “Chiedevo pane e ho avuto una pietra — a forma di piedistallo.4”
I diari non sono mai una fonte affidabile: nel caso di Louisa May sappiamo per certo che molte parti sono state riscritte e altre invece distrutte. Dalle pagine sopravvissute emerge però un’immagine dolorosa, perché Louisa May è un’adulta stanca e sofferente che riempie le pagine con l’elenco dei suoi mali fisici. Non sembra esserci scampo dalle richieste degli altri, si tratti del pubblico, della sorella che in punto di morte le affida la figlia neonata, o del padre. Il loro è un rapporto simbiotico dal quale Louisa May non riesce mai a liberarsi, tanto che il padre muore il 4 marzo 1887 e lei due giorni dopo. Muore dopo aver realizzato il suo sogno di bambina, quello di occuparsi della famiglia e di farsi un nome, ma sembra averlo fatto in cambio di un’eterna obbedienza: obbedienza alle regole del mercato, obbedienza alle richieste di tutti i suoi famigliari.
4: “Ma se in tutto questo ci fosse una gioia del dovere?”
E’ facile sovrapporre il ritratto di Jo March a quello della sua autrice, anche se a guardarle da vicino Louisa May sembra uscirne sconfitta. Una scrittrice poco convenzionale animata da un forte spirito di indipendenza: la descrizione funziona per entrambe, ma Jo sembra avere in sé una vena di ribellione che ad Alcott manca. E invece: rileggere il romanzo da adult* significa vedere Jo sciogliersi le trecce e venire progressivamente addomesticata. Un po’ fa male. In Piccoli uomini la secondogenita March compare solo nel ruolo di madre affettuosa; nell’ultimo volume della serie, I ragazzi di Jo, troviamo soltanto qualche scintilla della ragazza ribelle che ci ha conquistato. E’ colpa del professor Bhaer? E’ una cattiveria di Alcott? Quale sia la verità, Masini scrive che
Jo March, considerata all’unanimità una portatrice d’autonomia, è in realtà una ribelle più mite di quanto non appaia. I suoi atti sublimi sono capricci infantili portati all’estremo e si concludono con l’infanzia, o appena poco più in là. [...] Finché era piccola e speciale ci piaceva; adesso che è grande e normale non ci interessa più.5”
Nemmeno Jo può sfuggire al suo destino: è costretta a diventare donna e a noi sembra un po’ una sconfitta. Ma forse ci sembra una sconfitta anche quella di Louisa May, costretta a piegare il suo talento alle logiche del mercato, a recitare per sempre il ruolo di brava figlia obbediente. Eppure nel 1879 è la prima donna di Concord a iscriversi alle liste per la prima elezione a cui possono votare le donne, quella del comitato scolastico. Pubblica numerosi racconti e romanzi gotici, anche se sotto pseudonimo; non sarà costretta a ritagliarsi uno spazio per sé all’interno di un matrimonio, anche se la famiglia reclama comunque il suo tempo. Forse è nella sua vita che possiamo respirare la libertà, non in quella di Jo. Ma poi cosa vuol dire, essere libere? Chi ne decide la definizione?
Ma se in tutto questo ci fosse una gioia del dovere? Una perversa, equivoca gioia, la gioia dolente e furiosa del fare perché a questo si è addestrate, da sempre, a fare tutto, e meglio che si può? Una gioia contorta, da volpe senza l’uva [...]. Se fosse un frutto che comincia a esistere mentre salti, che si prepara a essere spiccato quando ti sforzi di vederlo?6
5: “La libertà per uno scrittore non è scrivere: è farsi leggere”
Come Jo, Louisa May pubblica numerose storie di stampo gotico che le procurano divertimento oltre che denaro. Ma accostare il proprio nome a certe pagine è disdicevole: per questo motivo pubblica sotto pseudonimo, naturalmente maschile, e alla fine abbandona questo genere di racconti. Le verranno attribuiti solo un secolo più tardi, grazie all’attento lavoro di due antiquarie. Louisa May aveva preso ogni precauzione, aveva chiesto che alla sua morte i suoi documenti venissero bruciati, ma è stata tradita dalla cura con cui ha conservato le fatture degli editori e segnato diligentemente ogni entrata e uscita. Come può essere prosastica e terrena la vita di uno scrittore, quando scrivere diventa una professione; e dire che noi lettori e lettrici la immaginiamo così romantica, così separata dalle necessità quotidiane—ma forse questo lo pensiamo solamente noi che con le nostre parole non ci guadagniamo da vivere.
Però poi penso a questo: nel 1868 Louisa May Alcott ha pubblicato un libro; nel 2025 io e tante sconosciute ancora ci emozioniamo ripensando a quando sognavamo di diventare come la nostra sorella March preferita. Alcott ha scritto per denaro, quasi disprezzandosi, ma poi ha fatto la storia e l'infanzia di molte di noi. Così sono d’accordo con quello che scrive Masini: “La libertà per uno scrittore non è scrivere: è farsi leggere. E allora, Louisa May, forse non sei stata felice. Però sei stata libera.7”
Tu cosa ne pensi? Puoi raccontarmelo nei commenti, oppure rispondendo a questa email (se sei già iscritt* alla newsletter). Spero di leggerti!
In questo periodo sto riflettendo più del solito sulle mie scrittrici preferite. Ho terminato una biografia molto interessante su Emily Dickinson (che bello vederla restituita alla sua complessità!) e sto leggendo un bel romanzo di Rachel Cusk. Si intitola Second place (La seconda casa nella traduzione di Einaudi) e parla di arte, moralità e ruoli di genere—il tutto nello stile di Cusk, che mi piace tanto. Per il momento queste riflessioni corrono senza appoggiarsi da nessuna parte, quindi prendo tempo con qualche domanda: ti piace leggere le biografie degli scrittori e delle scrittrici? O preferisci conoscerli solo da quello che scrivono?
🔗 Link interessanti se vuoi approfondire la biografia di Louisa May Alcott:
- il libro di Beatrice Masini, naturalmente, anche perché Masini parlando di Alcott finisce per parlare di tanti altri temi: scrittura e scrittrici, lavoro di cura e arte. Te lo consiglio di cuore!
- questa puntata del podcast Morgana
- la versione di Piccole donne scritta e diretta da Greta Gerwig mi è piaciuta moltissimo per tanti motivi. Uno, in particolare, è la scelta di esplicitare sia l’identificazione tra Jo e Louisa May Alcott, sia le motivazioni economiche alla base delle scelte artistiche di Jo/Louisa. Tu l’hai visto?
Come sempre, grazie per avermi letta. A presto,
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Se ti interessa il rapporto tra autore, romanzo e narratore, forse può interessarti (ri)leggere questo post su Nabokov e il suo romanzo più controverso
Masini, Beatrice (2022): Louisa May Alcott. Quando scrivere è necessario, Roma: Giulio Perrone Editore, 2022, p. 29. La frase del titolo di questo paragrafo si trova invece alle pagine 12-13. Tutte le citazioni all’interno del testo sono tratte da questo volume
p. 61. La frase del titolo di questo paragrafo si trova a pagina 39
p. 55. La frase del titolo di questo paragrafo si trova a pagina 57
pp. 73-74. La frase del titolo di questo paragrafo si trova a pagina 64
pp. 64-65
p. 110. Anche la frase del titolo di questo paragrafo è presa dalla stessa pagina
Grazie dell'articolo Sara.
Anche io mi porto "piccole donne" nel cuore e per una scelta più o meno conscia, non sono mai andata oltre "piccole donne crescono" . Forse perché non volevo vedere Jo cambiata, in effetti.
C'è poi un altro libro suo, "minore", che per qualche motivo mi è rimasto impresso ed è "una ragazza fuori moda". Non so, gli porto un affetto particolare.
Per il resto, si ora che sono adulta mi piace rovistare nella vita degli scrittori, ma non ti nascondo che a volte mi sento in colpa, soprattutto nel leggere la corrispondenza, che magari loro volevano (legittimamente) che restasse privata.