Perché dovresti leggere "Lolita" (se non l'hai già fatto)
In onore del compleanno di Nabokov, ti racconto perché leggere il suo romanzo più discusso non può che farci bene
Nell’immaginario comune Vladimir Nabokov è spesso sinonimo di Lolita, un romanzo meraviglioso la cui trama ruota attorno a un tema scabroso, e che per questo viene talvolta scambiato per un'apologia della violenza di cui parla.
Ma un autore è necessariamente dalla parte del suo narratore? Un narratore inaffidabile (quale è Humbert in Lolita) è per forza una cosa negativa? Proviamo a smontare queste domande.
Una conversazione a senso unico (più o meno)
Forse non ci facciamo caso, ma sostanzialmente leggere un romanzo significa sostenere una conversazione in cui una delle parti ascolta soltanto. Come succede in ogni conversazione, allora, dobbiamo fidarci di chi ci racconta la storia e presumere che ci stia raccontando la verità.
E infatti mentre leggiamo un romanzo – che comunque è frutto di finzione e immaginazione; in pratica una bugia socialmente accettabile! – diamo per scontato che esistano cose vere e cose che, all’interno nella storia, non lo sono1.
Per esempio è fittiziamente vero, cioè vero nella storia, che Sherlock Holmes vive al 221B di Baker Street, Londra: lo dicono i racconti che lo vedono protagonista. Ed è vero anche che Holmes è un uomo, non un alieno a due teste. Questa informazione non ci viene mai fornita in maniera esplicita, ma viene data per scontata: sappiamo che A. C. Doyle non scrive racconti di fantascienza, e poiché nei romanzi non-di-fantascienza i protagonisti sono esseri umani come noi, allora anche Sherlock Holmes è un uomo.
Nozioni come questa appartengono al bagaglio che ogni lettore porta sempre con sé, un background di conoscenze che si ritiene siano condivise da tutti e che, salvo indicazioni del contrario, sono vere sia nel mondo reale che nel mondo della storia. Fanno parte di questo bagaglio anche le informazioni ricavate dagli altri testi di finzione: per questo motivo sappiamo che Sherlock Holmes risolverà senza dubbio il caso, perché i racconti gialli si concludono sempre con lo smascheramento del colpevole.
Facciamo finta che
Tutte queste conoscenze vengono quindi trasferite al testo, che ogni lettore affronta assumendo un atteggiamento di make-believe, far finta. Sappiamo che un romanzo è frutto dell’immaginazione di uno scrittore, eppure scegliamo di far finta che la storia ci sia raccontata da una persona che immaginiamo affidabile e informata sui fatti, che li riporta fedelmente e con convinzione, così come li riporterebbe se si fossero verificati davvero2.
Ora, può sembrare scontato che a raccontare la storia sia un narratore; questo però non è così evidente nel caso, per esemprio, di narratori onniscienti in terza persona. L’argomento è ancora oggetto di un (aggressivo) dibattito tra filosofi e studiosi di semiotica. Per semplificare, può essere utile fare riferimento a questa distinzione:
autore: la persona reale che scrive e crea l'opera di finzione;
autore implicato: l’autore così come ogni lettore se lo immagina. A partire dal testo, infatti, formuliamo ipotesi a proposito delle opinioni e delle motivazioni di chi scrive. Non necessariamente questa figura coincide con l’autore in carne ed ossa3;
narratore: la figura, dalla personalità più o meno definita, che riporta i fatti ai lettori, e alla quale i lettori attribuiscono ogni frase ed eventuali sentimenti e giudizi. Narratore e autore implicato sono figure distinte, anche se esistono casi in cui i due sembrano coincidere.
Di me ti puoi fidare (o forse no)
Leggere un libro è come partecipare a una conversazione, quindi; e a volte ci rendiamo conto che non possiamo fidarci delle parole del nostro interlocutore. Quando un narratore si rivela inaffidabile siamo costretti a mettere in discussione i fatti narrati, a rivedere le nostre convinzioni e la nostra interpretazione della storia.
A differenza di quanto accade nella vita reale, però, un narratore inattendibile non è una cosa necessariamente negativa. Le narrazioni inaffidabili sono un esercizio di flessibilità cognitiva: chiedono ai lettori di accettare situazioni di ambiguità e di essere pronti a modificare l’interpretazione dei fatti alla luce di nuove informazioni.
Non solo: narrazioni di questo tipo ci spingono ad accettare che possono coesistere diversi punti di vista, ma che alcuni di questi sono inadeguati a riportare i fatti. Pensiamo per esempio a Huckleberry Finn: non è cattivo, non è inaffidabile perché è un bugiardo. Ma è solo un ragazzino ed è poco istruito: la sua comprensione dei fatti è limitata e distorta. Quindi questo genere di narrazioni, più di ogni altro, ci permette di confrontarci con l'alterità e ci invita ad adottare un atteggiamento empatico4.
In questo senso Lolita offre spunti interessanti: di fronte all’atteggiamento di Humbert, il narratore, sono possibili diverse e opposte reazioni.
Leggere Lolita
La voce narrante del romanzo appartiene all’affabile Humbert Humbert, il quale ci racconta la storia dal suo punto di vista. Oltre che per l’orrore di cui è responsabile, Humbert suscita repulsione per il modo in cui si giustifica e chiede comprensione.
Da un lato ci sono quindi i lettori affascinati (e più o meno ingannati) dall'abilità retorica di Humbert; dall'altro, c’è chi vi si oppone con forza, fino a rifiutare tutta la storia e il libro. E’ innegabile: Humbert, questo narratore così raffinato e ingombrante, cerca di creare un legame con il lettore, una sorta di gigionesca complicità. Ma le sue azioni rimangono comunque imperdonabili: non possiamo appoggiare le sue posizioni. Non è un narratore del quale possiamo fidarci. E in questo tira e molla, qualcuno inizia a interrogarsi sull’autore: Nabokov da che parte sta?
Leggendo Lolita, infatti, tutti ci sentiamo manipolati da Humbert; ma alcuni trasferiscono questo giudizio anche su Nabokov. E dal momento che tutto il romanzo viene narrato dal punto di vista di Humbert, allora questo significa che l’autore sta giustificando le sue azioni. In questo modo narratore, autore (il Nabokov in carne e ossa) e autore implicato (l’idea di Nabokov che ognuno si crea) vengono a coincidere.
Questa, secondo me, è un'inferenza pericolosa. Pericolosa per ciò che presuppone (autore e narratore coincidono; parlare di qualcosa di negativo significa giustificarlo) e per ciò che comporta (precludersi una grande esperienza di letteratura). Nelle mani di un altro scrittore, la storia di Lolita sarebbe potuta diventare una serie di pagine superficialmente provocatorie, oppure un concentrato di cattivo gusto. L’immagine che la cultura pop ci trasmette di questo romanzo è spesso proprio questa; strappato ogni livello di complessità, Lolita viene banalizzato e diventa un elemento ammiccante che oscilla tra due poli opposti, la romanticizzazione e il rifiuto assoluto.
Ma se leggiamo davvero il romanzo, ci rendiamo conto che questa non è una storia d’amore e non è un’apologia della violenza. E’ un’opera che esplora tutte le possibilità del linguaggio e della narrazione; è arte nel senso più astratto, vero e concreto della parola.
Nella postfazione al romanzo Nabokov dice che
Lolita non si porta dietro nessuna morale. Per me un’opera narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estetica, cioè il senso di essere in contatto, in qualche modo, in qualche luogo, con altri stati dell’essere dove l’arte (curiosità, tenerezza, bontà, estasi) è la norma.
Quindi leggiamo questo libro, accettiamo il malessere. Meravigliamoci per il modo in cui Nabokov manipola la lingua inglese (che non è nemmeno la sua prima lingua!) e mette sottosopra tutto quello che pensavamo di sapere su come funzionano i romanzi.
Hai letto Lolita, o qualche altro romanzo di Nabokov? Che ne pensi?
Ti lascio anche qualche consiglio di lettura: anche se ho apprezzato moltissimo Lolita, i romanzi di Nabokov che più ho amato sono altri!
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A presto,
In The Nature of Fiction Gregory Currie parla di verità fittizie, che si basano sia su quanto viene esplicitamente detto nel testo, sia su uno sfondo di presupposizioni da parte dei lettori. Currie, Gregory (1990). The Nature of Fiction, Cambridge: Cambridge University Press
Currie, Gregory (1986). “Fictional Truth.” Philosophical Studies 50: 195-212
Currie, Gregory (2010). Narratives and Narrators: A Philosophy of Stories, Oxford: Oxford University Press
Nünning, Vera (2015). Reconceptualising Fictional (Un)reliability and (Un)trustworthiness from a Multidisciplinary Perspective: Categories, Typology, and Functions. Unreliable Narration and Trustworthiness: Intermedial and Interdisciplinary Perspectives, a cura di Vera Nünning. Berlin: Walter de Gruyter, 83-108