La tua maestra di italiano aveva torto (più o meno)
Ti racconto perché “A me i bugiardi non mi piacciono” e “Architetta” non sono errori
E’ successo una mattina di ottobre di qualche anno fa, quando avevo diciannove anni ed ero una matricola a Lettere Moderne: mi sono seduta in aula per la mia prima lezione di Istituzioni di Linguistica, e poi non sono più stata la stessa.
Forse sono drammatica. Però quel giorno ho scoperto che, diversamente da quanto avevo creduto fino a quel momento, la grammatica non è l’equivalente dei dieci comandamenti o di un decreto legislativo. La grammatica è uno strumento che ci permette di utilizzare al meglio la nostra preziosissima lingua.
Avevo sempre pensato che tutto il cuore e la passione stessero soltanto nella letteratura, ma mi sbagliavo: alla radice, ogni atto linguistico è relazione, e può essere persino amore.
Perchè moltissime persone hanno un rapporto irrisolto, poco sereno con le parole proprie e altrui? Perché si arrabbiano davanti a un neologismo, un giovanilismo, un forestierismo? Perché pensano che le lingue stiano subendo un processo di decadimento? E' possibile avere una sana e duratura relazione con la propria lingua, invece che una basata su un morboso senso del possesso, che per me è quello che fanno i grammarnazi? Si può passare dalla salvaguardia e la difesa, come se la la lingua fosse una damsel in distress, una damigella in pericolo, a un amore maturo, basato sul rispetto?
Vera Gheno, Grammamanti
Come risultato di questo colpo di fulmine, ho deciso di frequentare una magistrale in Linguistica: non lo rimpiango, anche perché questa scelta mi ha liberata dal tormento del “Ma cosa te ne fai di una laurea in Lettere?”. Le reazioni dei miei interlocutori quando scoprono che ho studiato Linguistica, infatti, sono sempre state di tre tipologie:
“Ho dato un esame alla triennale e l’ho odiata” (più raramente: “Dai, anche io! Ma dimmi, tu cosa ne pensi di Chomsky?”)
“Ma cosa hai studiato di preciso?”
“Ah, quindi hai fatto lingue? Ma tanto oggi l’inglese lo sanno tutti, a che ti serve?” (inevitabile)
Anche se è divertente scoprire delle anime affini che appartengono allo scenario (1), lo scenario (2) è il mio preferito: in genere si tratta di una domanda posta con sincera curiosità. Non devi sentirti in ansia: non ti correggerò la grammatica. Però ti racconterò il mio aneddoto preferito, e ti dirò che la tua maestra di italiano aveva torto! Più o meno.
Ma quindi cosa hai studiato?
Semplificando molto, la linguistica studia la lingua come se si trattasse di un'auto. Il funzionamento in fondo è lo stesso: in entrambi i casi si tratta di uno strumento che ci permette di spostarci da una punto all'altro e di fare cose.
Quindi ci sono:
elementi presenti in tutte le auto (il motore e i freni; le vocali e le consonanti)
elementi che a volte ci sono e a volte no, ma che se ci sono implicano la presenza di altri (se l'auto ha la capote, allora c'è anche un comando per azionarla; il suono "emme" c'è solo se c'è anche il suono "bi")
elementi che possono variare con il tempo, ma non intaccano la struttura della macchina (come il colore, oppure la presenza di un Arbre Magique; il verbo "lodare" usato al posto di "laudare").
E' importante che i pezzi obbligatori siano assemblati così come richiesto dal modello dell'auto. Nel caso di "Sola mai tu sei stata" i pezzi obbligatori non sono stati assemblati come richiesto dal modello "lingua italiana"; ma se l'auto fosse un modello "lingua parlata da Yoda, quello di Star Wars", questa frase sarebbe accettabile.
La metafora funziona anche se prendiamo in considerazione espressioni come "La sindaca" e "Facciamo un selfie": tutti i pezzi obbligatori sono assemblati come richiesto. La macchina ci porta in un luogo in cui una donna è sindaco, perché questa è parola che ha lo stesso funzionamento di “maestro” e “gatto” (quindi l’ultima lettera indica il genere). E poi ci porta in un luogo dove tutti capiscono cosa sto facendo (è il 2024, e poi un selfie è cosa ben diversa da un autoscatto).
Dire invece "Ti briffo sul meeting" non è efficace, almeno per il momento, perché probabilmente confonde il nostro interlocutore. Mentre “ingegnera” suona bene e funziona esattamente come “maestra”: sono entrambi nomi di genere variabile. "Presidente" invece è un nome di genere fisso: quindi non diciamo “presidenta”, ma “la presidente” (proprio come: “la docente”, “la cantante”).
Le maestre e i maestri di italiano
a) la maestra, magari, si sbagliava e b) la maestra aveva ragione, ma non ragionissima; tuttavia, a distanza di dieci/venti/trent’anni, le cose possono essere cambiate.
Vera Gheno, Potere alle parole
Forse le modalità cambiano da generazione a generazione, e da scuola a scuola; ma in generale tutt*, alle elementari, abbiamo imparato a memoria delle regole sull’utilizzo dell’italiano. E quindi:
a me mi non si dice;
qual è va scritto senza apostrofo;
se divido una parola in sillabe la -s sta attaccata alla consonante successiva (que-stio-ne).
Tutte queste norme hanno il compito di aiutarci ad utilizzare il linguaggio al meglio: grazie alle regoline che la maestra ci ha fatto copiare sul quaderno possiamo comunicare senza troppe difficoltà. Alcune di queste descrivono il funzionamento della macchina “lingua italiana”, come per esempio: il verbo si accorda al soggetto per quanto riguarda genere e numero. Altre sono sostanzialmente delle convenzioni che ci aiutano a tenere tutto in ordine, perché dopotutto avremmo anche potuto scegliere di scrivere su con l’accento senza che questo creasse degli stravolgimenti.
Rispettare queste regole, in sintesi, è una forma di cortesia nei confronti dell’interlocutore, un terreno comune al quale fare riferimento, perché “ogni deviazione dalla norma comporta uno sforzo in più da parte di chi deve decodificare il messaggio” [Vera Gheno, Potere alle parole]. Ma la grammatica tradizionale non è il linguaggio; forse non è nemmeno quello che vi aspettate.
La grammatica
Io, per esempio, avevo sempre pensato che grammatica = il manuale delle regole scritto da un’autorità saggia e superiore. Poi ho scoperto che secondo la linguistica la grammatica è la competenza interiorizzata della lingua che ognuno di noi possiede. Pensateci: sappiamo utilizzare il passato prossimo ben prima che qualcuno ce ne spieghi il funzionamento, e non abbiamo bisogno di andare a scuola per poter giudicare inaccettabile una frase come “La pizza mangiano per cena Marco”.
In un certo senso siamo tutti esperti della nostra lingua madre; forse nasce da qui la tentazione di considerarsi molto, troppo esperti. Il rischio è che la lingua possa diventare, ai nostri occhi, qualcosa di sacro e immutabile, mentre noi ci trasformiamo in paladini grammarnazi.
Ma se in linguistica “grammaticale” è tutto quello che un parlante madrelingua considera accettabile, allora questo non coincide necessariamente con ciò che un manuale considera “corretto”.
Torniamo allora alla maestra di italiano: la mia si chiamava Anna e io la adoravo. Anna ci diceva che “a me mi” è un bambino sciocco e in quanto tale andava assolutamente evitato. Povero A Me Mi, condannato a una vita di solitudine, quando invece è un’espressione perfettamente grammaticale! E’ un pleonasmo, certo, ma viene utilizzato per esprimere qualcosa di diverso da “a me”.
Anna forse avrebbe segnato in rosso “A me i bugiardi non mi piacciono”, eppure questa è un’espressione accettabile. Se dico “I bugiardi non mi piacciono” sto esprimendo una pacata preferenza; se dico “A me i bugiardi non mi piacciono” sto litigando con il mio ex ragazzo.
Parlare bene
Quindi usare bene la lingua italiana non vuol dire attenersi rigorosamente a delle regole; ma significa saper scegliere le parole e il registro più adatto alla situazione, nello stesso modo in cui scegliamo abiti diversi a seconda che l’occasione sia un’uscita con le amiche o un colloquio di lavoro.
Certo, poi per poter infrangere le regole è fondamentale conoscerle bene – sta qui la differenza tra Joyce e un ragazzino di prima media che non usa mai le virgole – ma non dimentichiamo che la lingua deve, come prima cosa, permetterci di scambiare informazioni in modo efficace. E’ uno strumento plastico in grado di adattarsi alle situazioni più svariate, perché noi parlanti siamo vivi e vivaci e utilizziamo il linguaggio per tanti motivi diversi. Sarebbe fuori luogo scrivere un’email di lavoro saltando a piè pari i saluti ma utilizzando le abbreviazioni da SMS; ma lo sarebbe pure rivolgersi ai nostri amici utilizzando un vocabolario aulico. Ripetizioni e dislocazioni sono spesso maltrattate, però ci aiutano a sottolineare il messaggio.
La vera libertà di una persona passa dalla conquista delle parole: più siamo competenti nel padroneggiarle, scegliendo quelle adatte al contesto in cui ci troviamo, più sarà completa e soddisfacente la nostra partecipazione alla società della comunicazione.
[Vera Gheno, Potere alle parole]
Che le parole sono importanti, lo diceva anche lui.
E’ una questione di equilibrio: rispettiamo l’interlocutore, ma teniamo a mente che la lingua è viva, quindi può e deve cambiare nel tempo. Non è vero che “allora vale tutto”; ma è vero che il mantenimento dello status quo da parte delle élite passa anche attraverso l’immobilismo linguistico. E se da un lato riflettono la società, dall'altro le parole che usiamo danno forma al nostro mondo.
Quindi sì, via libera ad architetta, e viva le donne che finalmente riescono a farsi spazio in quei ruoli per troppo tempo riservati agli uomini!
Consigli di lettura e di ascolto:
Una newsletter che parla di comunicazione e che ho scoperto proprio su Substack: Linguetta di Andrea M. Alesci
Vera Gheno sembra avere una pazienza infinita, fa divulgazione in modo chiaro senza banalizzare, e ha aiutato mia madre a rispondere alla classica domanda di parenti/vicini/etc.: “Ma Sara cosa studia?” (mia madre: “Hai mai visto Vera Gheno in tv?”. Magari, mamma.). Il podcast di Gheno si chiama Amare parole ed esce la domenica. Questa puntata si intitola proprio “A me mi piace a me mi”. Tra i suoi libri, quelli che mi sono piaciuti di più (per il momento) sono: Grammamanti - Femminili singolari - Potere alle parole
Qualche articolo interessante: declinare al femminile i nomi di professione; gli strafalcioni dei bambini ci forniscono molte informazioni utili; un neonato che impara a parlare è qualcosa di complesso e meraviglioso.
Anche le studentesse di linguistica possono essere le protagoniste di un romanzo: sto parlando di L’idiota di Elif Batuman. L’hai letto?
Prima di salutarti ti ricordo che se vuoi ricevere i prossimi post nella tua casella di posta
A me piace moltissimo parlare, ma chiacchierare ancor di più. Quindi ti aspetto nei commenti: ti va di farmi sapere che ne pensi?
Come sempre, grazie per avermi letta. Ci vediamo qui sotto!
A presto,
Questa newsletter è uno spazio gratuito e indipendente. Ma se ti va di supportare il mio progetto e il tempo che gli dedico, puoi offrirmi un caffè virtuale cliccando qui ☕
brava! (a trovare la tua strada, a studiare linguistica, a esserti appassionata)
aggiungo, da uno che è dentro la scuola da parecchio, che confermo la questione degli "errori"
e confermo che i libri di Gheno sono divertenti e interessanti
ultimo, un ricordo di una intervista a Serianni in cui più o meno diceva:
se fai un errore di grammatica, al massimo fai una figuraccia, se invece non capisci bene qualcosa che stai leggendo, o che devi leggere, le conseguenza possono essere molto peggiori
(per dire che dovremmo forse tutti spostarci un poco dall'insistenza sulla ortografia alla attenzione verso la comprensione)
Che bella puntata, Sara! E che sorpresa trovarci Linguetta, proprio accanto al consiglio di lettura della bravissima Vera Gheno 💛. M'è piaciuta molto anche la similitudine tra lingua e macchina; le figure aiutano sempre a capire meglio come funzionano le cose.